Linguaggio e comunicazione: differenze tra uomini ed animali


Sebbene l’interesse suscitato da teorie, pensieri ed opinioni autorevoli appena citate possa risultare sufficiente per presupporre di essere in possesso di capacità cognitive di base utili ad effettuare qualsivoglia tipo di traduzione o trasposizione, è bene rendersi conto che una conoscenza più approfondita delle capacità celebrali umane insite può risultare utile per stabilire i propri limiti e quindi per poter lavorare più coscientemente su ogni tipo di trasposizione.
È per tale ragione che introdurremo concetti quali quello di bilinguismo trattando tematiche di base quali le capacità di acquisizione da parte di bambini anche in contrapposizione con quelle di alcuni animali cosiddetti “poliglotti”.

Gli studi sul Bilinguismo dimostrano la capacità di alcuni esseri umani di utilizzare nel migliore dei modi un apparato fonico talmente perfezionato da permettere l’articolazione di parole appartenenti a lingue differenti, all’interno dello stesso discorso.
Al contrario, all’interno del regno animale esistono diverse specie capaci di emettere una vasta gamma di suoni, ma solo poche specie possiedono apparati fonici così perfezionati da riuscire ad emettere vere e proprie parole.
I nostri progenitori erano capaci di comunicare con i propri simili manifestando perfino i propri stati d’animo grazie a grida più o meno intense, simili a quelle emesse ancora oggi dai Primati. Grazie ad una evoluzione lunga millenni (schematizzata precedentemente a termine dell’esposizione della Teoria di Bickerton) i suoni emessi dalla specie umana sono diventati sempre più numerosi e si sono perfezionati, fino a creare una serie di suoni coordinati da regole ben precise che sono alla base della Lingua e della comunicabilità tra gli individui.
Il perfezionamento delle doti comunicative dell’uomo tramite l’emissione di suoni è stato coadiuvato da un apparato vocale adeguato e da doti intellettive superiori, propri della specie umana.
Secondo lo studioso Vittorio Menassè[1] il pensiero inespresso degli animali superiori è senza dubbio comparabile al nostro pensiero prelinguistico: senza tale capacità l’uomo non avrebbe mai cominciato a parlare. Pertanto, nessun’altra specie ha raggiunto le capacità comunicative foniche della specie umana, perché nessuna specie animale possiede le capacità intellettive che possiede l’uomo.
Le poche specie animali in grado di articolare delle parole appartengono alla classe degli uccelli. Gli studiosi analizzano ormai da tempo i loro tentativi di imitazione della parola, provando in alcuni casi ad attribuire a questi animali delle facoltà intellettive. Dagli studi sugli uccelli si evince che nella maggior parte dei casi questi animali parlano solo se ne hanno voglia e il loro discorrere non ha senso per noi uomini, ma esistono alcuni uccelli che parlano in determinate situazioni oppure se vengono stimolati dall’uomo, comprendendo addirittura il valore di alcune parole e utilizzandole in modo congruente.
Un esempio alla portata di tutti, può essere fornito dai pappagalli. Senza addentrarci troppo in considerazioni di carattere puramente specialistico, è interessante risaltare il fatto che i pappagalli, pur se differentemente a seconda della specie di appartenenza, possiedono capacità intellettivo-vocali superiori non riscontrabili in altre specie del regno animale, utili alla riproduzione di una notevole quantità di suoni o rumori spesso e volentieri tipici degli umani.
Nonostante ciò, è però bene sottolineare che questa specie è in grado solamente di imitare quanto ascoltato dall’uomo, ma non di produrre espressioni logiche autonomamente.
Pertanto, in cosa il cervello umano differisce tanto da quello animale da poter essere in grado di interpretare, decodificare e sviluppare situazioni, parole pensieri e discorsi in modo completamente autonomo?



[1] Menassè, V. (1979): Gli animali che imparano a parlare, Edizioni Agricole, Bologna

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